suono
Come scegliere le casse
Sicuramente le casse sono tra i componenti HiFi di più
difficile scelta.
Cercheremo intanto di capire alcuni concetti
di base per poi addentrarci nella disamina di alcuni possibili criteri di
scelta.
Le casse (o diffusori, speakers o sistemi
di altoparlanti che dir si voglia) hanno il delicatissimo compito di trasformare il
segnale elettrico che proviene dall'amplificatore in segnale acustico
percepibile dal nostro orecchio.
A seconda del metodo utilizzato per attuare tale trasduzione esse
si dividono in diverse categorie. Non è mia intenzione fare qui un elenco di
tecniche di trasduzione, che possono essere complicate da capire per chi si
avvicina all'Alta Fedeltà per la prima volta e non ha un minimo di background
tecnico alle spalle.
Per amore di semplicità tratteremo qui solo di altoparlanti dinamici che
poi rappresentano il 90-95 % del mercato.
Il principio di funzionamento
Il principio in base al quale gli altoparlanti
dinamici funzionano è grosso modo il seguente:
una bobina, solidale con la membrana
dell'altoparlante, è immersa in un campo magnetico generato da un.... magnete
(si, la calamita che c'è dietro gli altoparlanti). Il passaggio della corrente
alternata (il segnale musicale) prodotta dall'amplificatore genera nella bobina
una forza elettromotrice che la fa spostare avanti ed indietro all'interno del
campo magnetico. Conseguentemente, essendo la membrana dell'altoparlante
solidale con la bobina, l'altoparlante stesso viene posto in movimento
generando così uno spostamento d'aria, cioè onde sonore.
Spero che questa spiegazione molto semplice
non abbia fatto troppo inorridire gli esperti del settore.
I tipi di altoparlanti
Il segnale udibile dall'orecchio umano si estende
(ottimisticamente) dai 20 ai 20.000 Hz (unità di misura della frequenza). 20 Hz
rappresentano un tono molto basso mentre 20.000 Hz un tono molto acuto.
Per diverse ragioni fisiche è estremamente
difficile che un solo altoparlante riesca a riprodurre tutta la gamma di frequenza
da 20 a 20.0000 Hz. Ecco perchè nelle casse troverete spesso almeno due
altoparlanti. In sostanza si divide il compito tra due o più altoparlanti specificiper
una certa gamma di frequenze. Il numero di tali divisioni viene conteggiato
in vie, per cui se si divide il segnale audio in due porzioni,
frequenze alte e frequenze basse, si dirà che quella cassa è a due vie e
questo indipendentemente da quanti altoparlanti abbia.
Ad esempio, una cassa a due vie può avere
tre altoparlanti per le frequenze alte e quattro per quelle basse.
Gli altoparlanti per le frequenze basse
vengono chiamati woofers, quelli per le alte tweeters e
quelli per le medie frequenze midrange.
Il crossover
La divisione della gamma audio in porzioni (o vie)
viene effettuata da un circuito elettrico passivo interno alla cassa
detto filtro crossover o più semplicemente crossover.
Tale filtro divide il segnale audio
proveniente dall'amplificatore in più vie e può anche svolgere
altre funzioni più complesse come regolarizzare l'impedenza o l'abbinamento dei
diversi altoparlanti. Normalmente è costituito da condensatori, resistenze ed
induttanze.
La costruzione
Semplicisticamente possiamo dividere le casse dinamiche
in tre grandi famiglie, a seconda che il mobile sia completamente chiuso o
aperto verso l'esterno:
sospensione pneumatica (cassa chiusa), bass reflex (cassa
aperta tramite un tubo) e linea di trasmissione (cassa aperta
tramite un labirinto acustico).
Non esistono, come per tutti gli altri
oggetti HiFi, dei principi di costruzione intrinsecamente migliori di altri.
Ogni approccio ha dei pro e dei contro.
Un metodo semplice per verificare la bontà e
la qualità di costruzione del mobile della cassa è verificare quanto questo
sia sordo. In sostanza il mobile non deve risuonare,
quando sollecitato dagli altoparlanti. Provate quindi a battere con le nocche
le pareti del mobile e verificate che non risuonino troppo. La solidità ed il
peso della cassa sono già un buon biglietto di presentazione.
Nel sistema a sospensione
pneumatica (cassa chiusa senza buco) le frequenze emesse
dalla parte posteriore del woofer sono in pratica eliminate. L'aria chiusa
all'interno fa da elemento elastico per controllare il movimento
dell'altoparlante.
Nei sistemi bass reflex (o simili) l'emissione posteriore del
woofer viene accordata su una certa frequenza tramite un tubo in modo tale che
contribuisca anch'essa alla risposta sui bassi della cassa.
Quanto spendere
Una volta si consigliava di spendere il più possibile
nelle casse (anche il 50% e più dell'intero costo dell'impianto) perchè le si
riteneva il componente più importante in un catena audio.
Logica insegna però che se il segnale a
monte di esse è scadente, le nostre casse, per quanto sofisticate,
possono fare davvero poco. Anzi, più sono raffinate e più riveleranno eventuali
difetti dei componenti (sorgente ed amplificatore) a monte di esse.
Per un primo impianto si può spendere anche
meno di 500.000 e portarsi a casa delle casse di buona qualità, niente di
stratosferico ma già un'ottima base di partenza.
Se davvero volete spendere il meno possibile
potete dare un'occhiata alle proposte economiche di alcuni costruttori italiani
quali Indiana Line, RCF e Chario.
Grazie al fatto di essere prodotte in Italia
e quindi vendute senza vergognosi ricarichi, offrono un eccellente rapporto
qualità/prezzo, oltre che un'assistenza post-vendita semplicemente imbattibile.
Inoltre gli altoparlanti utilizzati sono
nella maggior parte dei casi prodotti in proprio, a garanzia di una
reperibilità immediata di eventuali ricambi.
Fate anche attenzione ad eventuali saldi
di fine stagione che spesso si trovano nei negozi.
Infatti, a causa del frequente ricambio dei modelli, a volte dettato solo da ragioni
di marketing più che da motivazioni di reale miglioramento tecnico, si riescono
ad acquistare modelli di due o tre anni fa a prezzi molto convenienti.
Viceversa il discorso dell'usato nel campo dei diffusori è molto delicato e va
affrontato solo se sapete esattamente cosa e come valutare. Si possono fare
eccellenti acquisti ma anche prendere sonore (!) fregature.
Permettetemi quindi di sorvolare sull'argomento in questa trattazione.
Che tipo di casse scegliere una volta
fissato il nostro budget ?
Intanto dobbiamo pensare alla loro sistemazione in casa ed agli spazi che realisticamente gli
possiamo dedicare. Mentre un amplificatore lo si può mettere dove più ci è
comodo, le casse necessitano di una installazione accurata pena la perdita
della metà del loro potenziale.
Ci sono casse espressamente progettate per stare a pavimento ed altre per stare
su dei supporti dedicati. Occorre tener conto anche di questo in fase di
decisione del budget poichè i supporti, ove richiesti, non sono un optional che
possiamo anche trascurare, ma fanno parte integrante del sistema di
riproduzione.
Una volta deciso il budget e lo spazio che possiamo dedicare al posizionamento
ottimale dei diffusori possiamo pensare ad altri aspetti.
Le caratteristiche tecniche
La prima domanda che in genere si fa è: che
potenza?
Fortunatamente la risposta è semplice: così
come per gli amplificatori la
potenza non è un parametro così importante.
Intanto per le casse la potenza è
intesa come potenza sopportata in quanto, essendo componenti
passivi, di proprio non possono generare un bel nulla. Quindi è completamente
sbagliato ritenere che casse più potenti, col significato appena
visto, suonino più forte...non sono mica amplificatori!!!
Permettetemi un paragone automobilistico:
tutti sappiamo che le gomme delle nostre auto hanno dei codici che ne
identificano l'utilizzo: ad esempio, le gomme di serie R sono garantite per
velocità sino a 170 km/h mentre quelle di categoria H sono per velocità fino a
210 km/h.
Bene, è perfettamente naturale che montare
gomme di serie H su una Fiat Panda non farà aumentare la potenza del motore
della stessa.
Così per le casse. Collegare casse da 500
Watts ad un amplificatore da 25 Watts non farà suonare più forte
l'impianto, chiaro?
In realtà il parametro che identifica la
capacità di una cassa a suonare più forte a parità di potenza
dell'amplificatore esiste e va sotto il nome di efficienza (o,
meglio, sensibilità). Una cassa ad alta efficienza produrrà
una pressione acustica, misurabile in deciBel (dB), superiore a
quella prodotta da una cassa a bassa efficienza. Si dice che una cassa ha una
efficienza (o sensibilità, non è esattamente lo stesso ma ci basta) di 90 dB se
questa è la pressione sonora prodotta con 1 Watt di potenza ad 1 metro di
distanza.
Ovviamente vi aspettate che vi dica dove sta
l'inghippo. Bene, è chiaro che in un mondo ideale le casse ad alta efficienza
sarebbero le più desiderabili, purtroppo nella realtà costruire dei diffusori
siffatti comporta tutta una serie di problemi tecnici che limitano fortemente
le possibilità dei costruttori, non ultimo l'alto costo dei buoni altoparlanti
con tali caratteristiche.
Diciamo che si cerca sempre un buon
compromesso tra efficienza, musicalità e costi.
Una cassa con un'efficienza compresa tra gli
87 ed i 90 dB è considerata di efficienza media.
Una volta chiariti i concetti di potenza e
di efficienza non pensiate che sia finita qui.
A complicarci ulteriormente la vita intervengono altri parametri che concorrono
alla determinazione delle caratteristiche tecniche di un diffusore. Tra i più
importanti c'è sicuramente quello del carico elettrico offerto
all'amplificatore. Le casse, come abbiamo visto, sono dei circuiti elettrici
piuttosto semplici sui quali l'amplificatore deve far passare il segnale
musicale.
Più è facile il carico visto dall'amplificatore più questo
potrà esprimersi al suo meglio.
Ma come si fa a capire se una cassa è facile da pilotare?
Oltre alla potenza, nel retro della cassa troverete anche un altro dato: l'impedenza.
Purtroppo il numeretto che leggerete raramente corrisponderà alla realtà.
Infatti, nel 90% dei casi troverete scritto Impedenza : 8 Ohms.
Ora, senza scendere in dettagli noiosi, diciamo quel parametro non è mai realmente 8
ohms ma varia a seconda della frequenza (può scendere a 4 Ohms o meno sulle
frequenze basse e viceversa). Dunque per voi, a meno di non fare un test
tecnico alle casse (cosa della quale si occupano molte riviste specializzate),
non c'è modo di scoprire se quella data cassa è un carico facile o difficile
per il vostro amplificatore. E allora? Si utilizza lo strumento di misura più
sofisticato esistente: il vostro orecchio. Giudicate il suono e la dinamica in
particolare. Se in alcuni passaggi musicali particolamente impegnativi vi
sembra che il suono perda di vitalità questo può essere da attribuire
all'amplificatore che non riesce a pilotare quella cassacome
dovrebbe.
Ciò non significa che l'amplificatore è scadente, ma solo che quelle casse
hanno bisogno di qualcosa di più muscoloso e ciò non significa affatto più
potente.
È sostanzialmente una questione di sinergia tra ampli e
casse.
Fortunatamente i moderni amplificatori, quelli progettati pensando alla Musica
e non agli optionals, riescono a pilotare sufficientemente bene la stragrande
maggioranza dei diffusori in commercio.
L'impedenza in sè non ha alcuna relazione
con la qualità della cassa. Contrariamente a quanto può suggerire l'intuito non
è affatto vero che una impedenza più bassa indichi un diffusore più facile da
pilotare. Anzi, è proprio il contrario!
Basta ricordarsi che a 0 Ohm si ha il classico cortocircuito
elettrico ovvero polo positivo e negativo collegati insieme (e sapete
quel che succede qualora vi capitasse una cosa del genere nell'impianto
elettrico di casa...). Quindi, paradossalmente, più si sta lontani dallo zero e
meglio è. 8 Ohms sono una impedenza di tutta sicurezza per tutti gli
amplificatori, 4 Ohm vanno ancora bene ma è meglio usare allora amplificatori
ben dotati in termini di capacità di pilotaggio (quasi tutti gli amplificatori
moderni possono pilotare diffusori da 4 ohm).
Quante vie?
Altra domanda classica. La risposta è,
naturalmente, dipende.
La logica ci dice che, a parità di costo, se
una cassa ha due altoparlanti essi saranno di qualità superiore rispetto a
quelli di una che ne ha tre. Oppure, a parità di qualità degli altoparlanti,
maggior cura realizzativa sarà profusa nella costruzione del mobile, nei
materiali e nel crossover.
D'altra parte abbiamo visto che una cassa a
due vie può anche avere più di due altoparlanti.
Le distinzioni da fare dunque sono due:
a parità di costo meno altoparlanti si
utilizzano più sarà elevata la qualità degli stessi e/o della costruzione della
cassa (mobile, materiali, finitura, crossover etc).
Ancora secondo logica, essendo la cassa
ideale dotata di un unico altoparlante puntiforme che
riproduce perfettamente tutte le frequenze, meno altoparlanti si utilizzano
meglio si approssima tale situazione ideale. È già piuttosto
complicato mettere d'accordo un woofer ed un tweeter, pensate
quanto la faccenda si complichi dovendo utilizzare anche un midrange.
Da questo punto di vista quindi la
soluzione due vie, quando implementanta con intelligenza in
diffusori di medie dimensioni, presenta alcune caratteristiche vincenti che la
rendono estremamente conveniente.
Nei diffusori di dimensioni piccole questa è
una scelta quasi obbligata. Per i diffusori di grande impegno e dimensioni le
soluzioni ottimali possono essere diverse e non necessariamente semplici. In
questa categoria di diffusori infatti gli ingombri ed i costi passano in
secondo piano rispetto allo scopo principe che è quello delle migliori
prestazioni sonore possibili.
Che altoparlanti?
È un errore comune il pensare che un grande
altoparlante (woofer) riproduca molti bassi.
La quantità e la qualità della riproduzione
della gamma bassa dipendono da così tanti fattori che la dimensione, ovvero il
diametro, del woofer passa decisamente in secondo piano.
La qualità è fondamentale: un buon
altoparlante, progettato con criterio, può fare autentici miracoli in termini
di quantità e di qualità della gamma bassa.
Capita frequentemente di incontrare persone stupite davanti ad un piccolo
diffusore che riproduce dei bassi credibili. Molti si affrettano a cercare il
subwoofer nascosto (vedi oltre) o il trucco che consenta tale prodigio.
Allo stesso modo i tweeters non sono da
valutare in base al materiale del quale sono costituiti, titanio, ceramica o
plutonio (!), ma dalla loro qualità intrinseca che, difficilissima da
valutare a vista, diventa evidente alla prova dei fatti, cioè
all'ascolto.
Il biwiring
Tra i diffusori in commercio, anche quelli più
economici, è diffusa la moda di disporre di quattro morsetti
d'ingresso anzichè i soliti due(positivo e negativo).
Uno sguardo più attento vi rivelerà che una
coppia di morsetti è dedicata al woofer e l'altra al tweeter.
In definitiva, pur essendo uno l'amplificatore
che alimenta le casse, esso verrà collegato con una coppia di cavi per canale,
una per il woofer l'altra per il tweeter.
A questo argomento abbiamo dedicato una
intera Monografia sul
collegamento ampli-casse che tratta
oltre al biwiring anche il biamping, la multiamplificazione ed altro ancora.
I sistemi separati satelliti + subwoofer
In tutti i negozi avrete notato il proliferare di
questi sistemi dotati di due cassettine minuscole (cubi da 10 cm per lato) più
un altro aggeggio da mettere per terra e nascondere alla vista di occhi
indiscreti. Tanto per capirci subito parliamo di sistemi tipo (e
sottolineo tipo) Acoustimass della Bose.
Molti di voi saranno cascati nel bonario
inganno del sentire tanti bassi e non capire da dove provenissero.
Bene, tali generi di sistemi, lodevoli
perchè permettono un occultamento pressochè totale del sistema di diffusione,
croce di tante mogli, madri, fidanzate e nonne, presentano in realtà una serie
di inconvenienti (a meno che non crediate ai miracoli) di non trascurabile
rilevanza dal nostro punto di vista. Vediamo quali.
Non c'è bisogno di una laurea in ingegneria
elettronica per capire che degli scatolotti cubici che stanno nel palmo di una
mano non possono fisicamente riprodurre tutta la Musica senza
problemi.
È chiaro anche a mia nonna che il trucco ci
deve essere da qualche parte, altrimenti i costruttori di diffusori di
dimensioni normali avrebbero chiuso i battenti già da diverso
tempo.
Il problema sono i bassi. Allora si è
pensato di far riprodurre i bassi ad una unità separata necessariamente non
lillipuziana, da nascondere dietro tende e divani. Ciò è possibile perchè le
basse frequenze sono omnidirezionali cioè il nostro orecchio
non riesce a determinarne esattamente la provenienza. Questo a patto che le
frequenze siano davvero basse, diciamo abbondantemente sotto i
200 Hz altrimenti il nostro orecchio non cade nella trappola e comincia ad
individuare la sorgente sonora.
Purtroppo i cubi da 10 cm non solo non
riescono a riprodurre le frequenze più basse ma hanno dei problemi anche con la
gamma medio-bassa, diciamo quella dove spesso cadono alcune note della voce
umana oltre che di altri strumenti, ragion per cui hanno bisogno di relegare la
riproduzione di tali frequenze al solito scatolone nascosto dietro la tenda.
Il risultato? Le voci di certi cantanti le
sentite per metà dentro i cubetti e per metà nello scatolone (subwoofer) che
sta per terra, con un effetto di scollamento dell'immagine
stereofonica riprodotta che fa venire i brividi.
La prossima volta che li sentite provate
ad ascoltarli per davvero.
Vi accorgerete che il subwoofer non sempre
è acusticamente invisibile e che, anzi, spesso sarete in grado
di percepire il suono provenire direttamente da esso.
C'è soluzione a questo problema? Certo,
basta fare i cubetti più grandi di modo tale che riescano a riprodurre anche
buona parte della gamma bassa, lasciando le note più profonde al subwoofer che
a quel punto sarà effettivamente invisibile. Cioè dovremmo aumentare le
dimensioni dei cubetti, con tanti saluti alla comodità del poterli installare
tra l'orologio a cucù ed il porta CD.
Inoltre, il fatto di poter installare i
cubetti dove ci pare va contro ogni logica della riproduzione stereofonica che
vuole le casse sulla stessa parete, con i tweeters all'altezza delle
orecchie e con l'ascoltatore seduto al terzo vertice di un ipotetico
triangolo che ha nelle casse gli altri due.
Se stavate meditando di risolvere i problemi
estetici e logistici con un sistema di cubetti bè, adesso almeno sapete a quali
rinunce andate incontro. Sta a voi decidere quale aspetto giudicate più
importante.
Il posizionamento in breve
È chiaro che non si può in poche righe spiegare ed
analizzare a fondo tutta la problematica inerente al corretto posizionamento in
ambiente di un sistema di altoparlanti. Per questo motivo rimando ad una
trattaziane separata (vedasi la sezione Diffusori) o
al manuale d'istruzioni dei diffusori.
Diciamo solo che se le casse sono da
supporto, da libreria o freestanders (3
sinonimi per lo stesso principio) esse necessitano di supporti ad hoc. Evitate
le librerie, gli scaffali ed i mobili. Non potreste fare più danno sistemando le
vostre casse in questo modo.
Ricordate che il corretto posizionamento
delle casse è conditio sine qua non affinchè si possa parlare
di riproduzione ad Alta Fedeltà.
Soluzioni di ripiego come casse sulle
librerie a due metri d'altezza, appese ai muri o sdraiate per terra (se non
progettate per tale posizione) non sono degne di essere prese neanche in
considerazione.
In definitiva, se non potete dedicare al vostro presente o futuro impianto HiFi
una sistemazione degna ed accurata rinunciate a ogni velleità audiofila. Un
impianto mal posizionato è un insulto alla buona Musica riprodotta.
Quindi, come dicevamo, se le vostre casse necessitano di supporti (stands),
acquistateli subito e sceglieteli in modo tale che posizionino il tweeter circa
all'altezza delle vostre orecchie quando siete seduti in posizione d'ascolto.
Inoltre le casse, di qualunque tipo esse siano, vanno obbligatoriamente posizionate
lungo la stessa parete mentre il punto d'ascolto sarà nella
parete opposta, in modo da formare un ideale triangolo con le due casse.
Per l'ottenimento di una credibile scena acustica (o immagine
stereofonica) è buona norma tenere le casse distanti dalle pareti circostanti.
Tenete altresì conto del fatto che la vicinanza del pavimento o della parete
posteriore comporta un rinforzo dell'emissione in gamma bassa a discapito della
pulizia della gamma media (esclusi i casi di progetti nati espressamente per
simili posizionamenti).
Se le casse sono da pavimento posizionatele
pure...sul pavimento, avendo l'accortezza di non addossarle alla parete
posteriore a meno che ciò non sia espressamente richiesto dal costruttore.
Spesso i modelli da pavimento sono provvisti di punte coniche da utilizzare
come piedini d'appoggio. A proposito delle punte e di altre diavolerie potrete
trovare qualche utile suggerimento in un articolo dedicato.
Conclusioni
In conclusione possiamo dire che
potete dimenticarvi anche di tutto quello che avete appena letto purchè vi
ricordiate che la scelta delle casse è quantomai una questione di gusto
personale e ciò che può suonare divinamente per
qualche recensore può anche non incontrare le vostre preferenze.
Inoltre non esistono casse per il rock o per
la classica. Esistono casse che suonano meglio di altre o che privilegiano
determinati aspetti della riproduzione musicale piuttosto che altri. Bisogna
essere pronti ad accettare dei compromessi perchè, a meno di non disporre di
cifre esorbitanti, ogni sistema di altoparlanti è una sapiente miscela di
qualità e di difetti.
Sta a voi decidere se sacrificare un aspetto
a vantaggio di altri che ritenete più rilevanti nella ricostruzione credibile
dell'evento musicale.
Monografia sul biwiring, biamping, multiamplificazione
Vantaggi, svantaggi e consigli vari
Lo scopo di questa mini-monografia è quello di far un
po' di chiarezza sulle diverse modalità di collegare un amplificatore alle
casse, un argomento piuttosto confuso e nebuloso specie per i neofiti.
Contemporaneamente cercherò di dare alcuni
consigli pratici per tutti e qualche trucchetto su come ottenere il massimo dal
collegamento tra ampli e casse.
Gli argomenti trattati saranno, nell'ordine:
- In principio...era il classico cavo rosso e nero!
- Il biwiring
- Qualche trucco per migliorare il monowiring ed il biwiring
- Trasformare un diffusore da mono a biwiring...si può?
- Un finale stereo o una coppia di finali mono?
- Il bi-amping passivo
- La multiamplificazione attiva
- Conclusioni
In principio...era il classico cavo rosso e nero!
Fino a 10/15 anni fa collegare le casse al proprio
amplificatore era un gioco da bambini: bastavano due spezzoni di cavo rosso e
nero, magari pure di diversa lunghezza, ed il gioco era fatto. La sezione di
tale cavo era considerata pressochè ininfluente a meno che non si dovessero
collegare casse a decine di metri di distanza dall'amplificatore.
Poi arrivarono i cavi speciali e
tutto cominciò a farsi più complicato. Si mormorava che anche i cavi potevano
influenzare il suono dell'impianto HiFi.
A questo argomento ho già dedicato un
articolo apposito (Come
scegliere i cavi) che vi consiglio di leggere
qualora non l'abbiate ancora fatto.
Riassumo solo brevemente alcuni consigli del
tutto generali nel caso decidiate di collegare le vostre casse con un singolo
cavo (questa pratica tradizionale viene spesso chiamata monowiring o monofilare,
con una brutta traduzione in italiano).
- Indipendentemente dalla distanza delle casse dall'ampli, è meglio scegliere cavi di sezione superiore ai 2 mm2. Per alcuni cavi speciali tale regola generale può avere più di una eccezione.
- Indipendentemente dalla distanza reciproca delle casse dall'ampli utilizzate cavi della stessa identica lunghezza per un canale e per l'altro (destro e sinistro). Fate in modo che siano il più corti possibile.
- Evitate per quanto possibile di far passare i cavi vicino a fonti di interferenza quali cavi elettrici, lampade alogene, grossi elettrodomestici, cavi d'antenna etc.
- Collegate sempre polo positivo dei diffusori (+ o rosso) col polo positivo dell'amplificatore. Invertendo positivo con negativo non causate alcun danno, semplicemente gli altoparlanti si muoveranno in senso opposto. Può essere utile provare per mettere in fase l'impianto.
- Tutte
queste operazioni vanno fatte RIGOROSAMENTE con l'amplificatore SPENTO. Se
volete che il vostro amplificatore non salti per aria EVITATE di
cortocircuitare i morsetti d'uscita per le casse. In altre parole non
collegate MAI PER NESSUNA RAGIONE il morsetto positivo con quello
negativo.
Nella migliore delle ipotesi si brucerà l'ampli, nella peggiore potreste farvi MOLTO male. - I cavi possono essere collegati ai morsetti in vari modi. Il modo più semplice è quello di spellare il cavo per circa 1 cm ed infilare il conduttore nudo nei connettori. In alternativa esistono spinotti appositi molto comodi detti banane (ormai quasi fuorilegge per le nuove normative CE) altri detti forcelle ed una miriade di varianti di questi due sistemi.
In definitiva, se intendete rimanere sul classico, utilizzate il monowiring, ossia usate un solo cavo per cassa e vivrete tranquilli. Il problema è però che molti diffusori (quasi tutti ormai da un certo livello in sù) nascono con due coppie di morsetti, sono cioè predisposti per usare due cavi anzichè uno, realizzando quella tipologia di collegamento meglio nota come biwiring che vado a descrivervi.
Il biwiring
Letteralmente bi-cablaggio. Il biwiring è
esploso nella seconda metà degli anni '80 in Inghilterra e da allora ha
conquistato il cuore degli audiofili.
Di cosa si tratta? Un diffusore predisposto
per il biwiring, anzichè una sola coppia di morsetti (positivo e negativo)
ospita DUE coppie di connettori, usualmente marchiati high e low oppure woofer e tweeter.
Lo scopo è chiaro: utilizzare un cavo per
collegare il tweeter (altoparlante per le alte frequenze) ed un altro per il
woofer (basse frequenze). Se gli altoparlanti sono più di due normalmente la
situazione non cambia: una coppia di connettori per la gamma medio-alta ed
un'altra coppia per la gamma bassa.
Sgombriamo subito il campo dal primo dubbio:
per collegare una cassa in biwiring non c'è bisogno di due amplificatori né di un amplificatore con doppie uscite: è sufficiente un qualunque amplificatore stereo.
L'idea è infatti quella di utilizzare due cavi per
canale anzichè uno solo. Quindi: questi due cavi saranno separati dal lato
casse ed eventualmente uniti lato amplificatore (positivo con positivo,
negativo con negativo, rispettado i canali destro e sinistro, ovviamente!).
Qualora l'amplificatore disponesse di doppie
uscite (cioè fosse possibile collegare due coppie di casse, A e B) il biwiring
è più semplice perchè potete ripartire il groviglio di cavi più comodamente su
tutti i morsetti.
Ad esempio potete decidere di collegare i
cavi del tweeter all'uscita A dell'ampli e quelli del woofer all'uscita B o
viceversa, il risultato non cambia. Ovviamente dovrete selezionare sul frontale
dell'ampli ENTRAMBE le coppie di uscite A e B (altrimenti sentirete solo i
tweeter o solo i woofer).
Volendo potete comunque collegare tutti i
cavi ai morsetti solo A o solo B, il risultato sarà identico. Infatti che i
cavi si riuniscano prima di entrare nell'ampli o dopo, non fa alcuna
differenza. I morsetti A e B sono infatti collegati tra loro COMUNQUE
all'interno dell'amplificatore.
Il mio consiglio, solo per un fatto di
comodità, è quello di usare, quando ci sono, entrambe le coppie di uscite, sia
A che B, così evitate un eccessivo affollamento di cavi che, se di grossa
sezione, possono causare più di un problema.
Quali sono i vantaggi del
biwiring se comunque l'amplificatore è uno solo?
Senza voler scendere troppo sul tecnico diciamo che
- Col biwiring si usa il doppio di conduttori rispetto ad una connessione semplice e questo, insieme ad altri fattori, potrebbe migliorare la trasmissione del segnale elettrico dall'ampli alle casse.
- Col biwiring le masse (conduttori negativi o ritorni del segnale) ritornano verso l'amplificatore in modo separato per woofer e tweeter, realizzando una sorta di configurazione assimilabile, alla lontana, ad una stella. Molti amplificatori ormai utilizzano i ritorni di massa convogliandoli tutti in un punto detto centro della stella.
- Col
biwiring possono essere utilizzati cavi di diverse caratteristiche per il
tweeter e per il woofer, alla ricerca dell'ottimizzazione della risposta
in frequenza. Dato per scontato che i cavi suonano tutti in modo un po'
diverso gli uni dagli altri (diverse caratteristiche elettriche) si può
dedurre che alcuni di essi riproducano meglio le basse frequenze ed altri
quelle alte.
Quindi, volendo, si può tentare di utilizzare il doppio collegamento in modo "mirato". Questa pratica non è tuttavia sempre conveniente in quanto rischia di squilibrare il bilanciamento timbrico voluto e cercato dal Costruttore della cassa in sede di progetto. Se il diffusore è di un certo livello consiglio sempre di usare lo stesso identico cavo sia per il tweeter che per il woofer.
D'altra parte il biwiring presenta un certo numero di inconvenienti:
- È costoso, specie se si utilizzano cavi di una certa qualità e connettori di pregio (in pratica si raddoppia tutto)
- È scomodo: già i cavi per i diffusori sono considerati esteticamente poco attraenti in ambiente domestico, specie se di grosso diametro e di colore sgargiante...figuriamoci raddoppiarli!
- Talvolta
il biwiring non fornisce il miglioramento sperato a parità di spesa. Mi
spiego: spesso è meglio usare un singolo cavo (monowiring) di valore 100
piuttosto che due cavi (biwiring) di valore 50.
Può sembrare una banalità ma molti audiofili credono che il biwiring sia meglio - sempre e comunque -. Specie quando la spesa si fa consistente, un cavo singolo ma di qualità più elevata (diciamo...doppia?) suona meglio di due conduttori che costano la metà.
Ovvio, se non si hanno problemi di spesa, meglio un biwiring con cavi di qualità molto elevata :-)
Qualche trucco per migliorare il monowiring ed il biwiring
Supponiamo che i vostri diffusori siano predisposti
per il biwiring ma voi vogliate collegarli comunque in monowiring. Avrete
notato che -di fabbrica- i quattro morsetti delle casse sono collegati tra loro
con dei ponticelli metallici dorati che andrebbero asportati qualora si
decidesse per il doppio collegamento.
Bene, se volete effettuare un monowiring col
massimo della qualità possibile, buttate via immediatamente tali ponticelli
dorati e sostituiteli con dei corti (3-5 cm) spezzoni dello stesso cavo che
utilizzerete per collegare il tutto all'amplificatore.
In alternativa potete usare delle barrette
in rame pieno (reperibili presso i negozi di materiale elettronico).
Seconda cosa, il singolo cavo andrà
collegato preferibilmente ai morsetti del tweeter lasciando agli spezzoni o ai
ponticelli il compito di portare il segnale ai morsetti del woofer.
La ragione è semplice: le alte frequenze sono la porzione dello spettro audio
più delicata e sensibile, anche per via delle basse tensioni in gioco. Per
questa ragione è meglio che il segnale dall'ampli raggiunga i morsetti del
tweeter senza che vi siano interposti altri spezzoni di cavo o sbarrette
metalliche (si minimizza, in sostanza, la resistenza di contatto).
Per migliorare il biwiring non c'è molto da fare se non
- Curare al massimo la qualità delle connessioni
- Provare ad intrecciare
(twistare, attorcigliare) l'uno con l'altro i due cavi che vanno alla cassa, in
modo da farli diventare un unico grosso serpentone attorcigliato.
In pratica: una volta fissati i cavi da una parte (o casse o ampli, non importa) cominciate ad intrecciare sempre con lo stesso passo, i due cavi. Per tenere fermo il tutto normalmente basta collegare i cavi all'altra estremità (alla cassa, se avete cominciato lato ampli) oppure utilizzare delle fascette plastiche serracavo.
Non è detto che questa pratica porti dei miglioramenti sonori sostanziali ma perlomeno si disporrà di un minimo di ordine anzichè di quattro cavi che vanno dall'ampli alle casse nel modo più caotico possibile.
Trasformare un diffusore da mono a biwiring...si può?
Possedete una vecchia coppia di diffusori non
predisposti per il biwiring e li vorreste modificare proprio per accettare tale
tipo di collegamento? Si può fare? La risposta è SI ma tale operazione richiede
la conoscenza dello schema del filtro crossover, il saper individuare i
percorsi del segnale all'interno di esso e saper usare bene il saldatore.
Individuati i punti dove il segnale si
divide per woofer e tweeter, interrompete la pista dello stampato (o tagliate
il cavo) ed inserite, saldandoli, due spezzoni di cavo che saranno i conduttori
separati per le due vie. Inserite due nuove coppie di morsetti ed il gioco è
fatto. Sembra semplice ma non lo è affatto, specie se il filtro crossover è
molto complicato. E soprattutto potrebbe non convenire.
Non è affatto detto che il lavoro venga a
regola d'arte e, comunque, state aggiungendo una ulterore resistenza di
contatto sul percorso del segnale.
Meglio, se siete capaci, ricostruire
completamente il crossover, magari utilizzando componenti nuovi e migliori (se
il diffusore è vecchio, anche i componenti lo saranno), pensandolo già con uno
schema biwiring. Dopo tanto lavoro avrete senz'altro un beneficio ma, forse,
avreste fatto meglio a vendere i vecchi diffusori in configurazione originale
(pochi sono disposti all'acquisto di materiale HiFi modificato in casa...) e
col ricavato + la spesa della modifica, acquistare un modello nuovo, dotato di
altoparlanti di qualità superiore e dalle caratteristiche meccaniche
perfette...piuttosto che tenervi dei woofers con la sospensione sull'orlo del
cedimento o i tweeter con le cupole ormai "andate".
Pensateci bene prima di fare certe
modifiche: se il prodotto era di elevata qualità ha ancora senso utilizzarlo
così com'era. Modificarlo equivarrebbe a snaturarlo e ad abbassarne
drasticamente il valore storico/commerciale.
Un finale stereo o una coppia di finali mono?
Sia che abbiate deciso per il biwiring o il
monowiring, vi potete porre una ulteriore domanda, nel caso in cui
l'amplificazione sia affidata ad un finale (amplificatore di potenza) separato:
è meglio un finale stereofonico o una coppia di finali monofonici?
La domanda è tutt'altro che superflua ed
anzi molti audiofili sono sempre dubbiosi sull'effettiva utilità nell'uso di un
finale stereo al posto di due mono (uno per canale).
Il finale stereofonico ha, sostanzialmente,
due grossi vantaggi:
- È facile da sistemare, occupa meno spazio di due finali mono corrispondenti e si può di norma sistemare vicino al pre (cavo di segnale corto).
- Si ha bisogno di un solo cavo d'interconnessione e di un solo cavo d'alimentazione.
Come svantaggio, a meno che la costruzione non sia completamente dual-mono (doppi trasformatori, doppie sezioni d'alimentazione etc.), c'è il fatto che i due canali destro e sinistro stanno fisicamente nello stesso cabinet e condividono l'alimentazione, con potenziale e teorica riduzione del rapporto segnale/rumore, della separazione dei canali e della dinamica. Per le costruzioni dual-mono, dicevo, questi problemi non si pongono. In pratica si tratta di due finali mono all'interno dello stesso cabinet, ma per il resto completamente separati ed indipendenti.
La coppia di monofonici ha i seguenti vantaggi:
- Massima separazione tra canale destro e sinistro, massima dinamica consentita da alimentazione separata per ogni canale.
- Possibilità di utilizzare cavi di potenza molto corti, posizionando ciascun finale vicinissimo al rispettivo diffusore.
D'altra parte:
- Due finali mono sono più ingombranti da installare ed occultare.
- Richiedono due cavi di segnale e due cavi di alimentazione.
- Richiedono, nel caso si opti per il posizionamento vicino alle casse, cavi di segnale molto lunghi.
Tirando le somme si può dire che la soluzione finale
stereofonico dual-mono è un eccellente compromesso tra le due scelte:
ha i vantaggi del doppio mono senza gli svantaggi. Con la coppia di monofonici
la spesa è di norma superiore, specie se si tiene conto del raddoppio di costo
per i cavi di segnale e di alimentazione.
Tenete conto che chi opta per una coppia di
finali mono presumibilmente ha un impianto (e quindi cavi) di un certo livello
qualitativo (alto). L'aumento di spesa causato dal raddoppio dei cavi può
essere perciò MOLTO significativo.
D'altra parte un certo risparmio lo si può
effettuare sui cavi di potenza che, come dicevo, possono essere più corti...ma
ciò "allunga" i cavi di segnale (non c'è scampo...) e quindi alla
fine siamo probabilmente pari.
Sorge dunque la domanda: è meglio
che ad essere più corti possibile siano i cavi di potenza o quelli di segnale?.
Altra bella domanda.
Il cavo di interconnessione è il tratto del
percorso "audio" dove più frequentemente le interferenze hanno vita
facile, grazie al fatto che a transitare è un segnale molto debole. Il cavo di
potenza, da questo punto di vita, è meno sensibile. Quindi, se abitate in una
zona molto "disturbata" dal punto di vista delle interferenze
elettromagnetiche, lasciate perdere la strada che vi porta a cavi di segnale
molto lunghi. Meglio che le "antenne" in un impianto HiFi siano le
più corte possibile.
In generale, il cavo di potenza è meno
sensibile sia alle interferenze che alla lunghezza, purchè si resti all'interno
di misure sensate (diciamo 3-4 metri per canale). Di conseguenza vedrei molto
più di buon occhio un cavo di segnale corto con cavi di potenza lunghi
piuttosto che il contrario. Verrebbe così a cadere uno dei vantaggi nell'uso di
due finali mono, cioè quello di porli a breve distanza dalle casse.
Tuttavia, come sapete bene, ogni regola (e
questa non lo è neppure) ha le sue brave eccezioni. Nel dubbio, meglio provare
- se possibile - entrambe le soluzioni.
In conclusione, avrete capito che, da un
punto di vista strettamente logico, facendo un bilancio
costi/benefici, la soluzione col miglior rapporto qualità/prezzo è
quella del finale stereofonico dual-mono. Segue il finale stereofonico
tradizionale e ultima, per colpa del costo elevato causato dai due cabinets e
la doppia cavetteria, viene la soluzione coppia finali mono.
Nel caso in cui il rapporto qualità/prezzo non è da considerarsi rilevante (ma
lo è quasi sempre...) la soluzione coppia monofonici è
effettivamente piuttosto stimolante.
Comunque sia, se proprio volete usare due finali, avete anche un'altra
possibilità che è quella fornita dal biamping passivo.
Bi-amping passivo
Il vantaggio derivante dalla separazione dei morsetti
per tweeter e woofer va oltre quello consentito dal semplice biwiring:
infatti oltre alla possibilità di utilizzare doppi cavi nulla vieta di
utilizzare due amplificatori stereo anzichè uno solo. In
pratica si possono collegare i cavi dei tweeters ad un finale di potenza e quelli
dei woofers ad un altro finale, obbligatoriamente identico.
In questo modo di realizza una multiamplificazione semplificata,
ovvero si pilotano i due altoparlanti (woofer e tweeter) con
due amplificatori separati.
Tale tipologia di collegamento è meglio
conosciuta come biamping o biamplificazione passiva.
In pratica per realizzare il bi-amping avete
bisogno di 2 finali di potenza identici, di diffusori predisposti
per il biwiring e di due spinotti RCA ad Y necessari per sdoppiare le uscite
del preamplificatore in modo tale da poterlo collegare ai due finali (il
connettore ad Y è un normale spinotto maschio RCA con due uscite femmine).
Si parla di biamplificazione passiva perchè
il filtraggio degli altoparlanti, cioè la divisione del segnale audio in bassi
e alti avviene in modo passivo a valle dell'amplificatore,
ossia dentro la cassa stessa. Nella biamplificazione (o multiamplificazione)
attiva della quale parlerò nel paragrafo successivo il segnale viene
invece suddiviso in varie porzioni a monte dell'amplificatore,
cioè prima che venga amplificato, grazie ad un filtro elettronico attivo
detto crossover elettronico.
Questa semplice osservazione chiarisce
subito quali siano gli svantaggi del biamping passivo:
- Alti costi di realizzazione: due finali di potenza identici, due cavi di interconnessione tra pre e finale, due cavi d'alimentazione.
- Spreco
di energie: i due finali amplificano COMUNQUE tutta la banda
audio completa e metà del lavoro viene buttato via dal filtro interno alla
cassa. Ad esempio, l'ampli collegato ai cavi del tweeter amplifica
comunque tutto il segnale audio da 20 a 20.000 Hz ma in pratica solo la
porzione dalla frequenza di taglio in sù è utilizzato (che so, da 3.000 Hz
in sù), il resto viene perso.
Quindi l'ampli lavora a pieno carico ma il suo lavoro viene sfruttato solo per metà. Un grande spreco di energie che viene evitato solo con la biamplificazione attiva. - Ingombri importanti: due finali più due cavi di interconnessione più due cavi di alimentazione creano maggiori problemi di inserimento in ambiente e di installazione.
I vantaggi rispetto al semplice biwiring sono
l'accresciuta potenza disponibile (e quindi anche la dinamica) e la capacità di
pilotaggio. I vantaggi rispetto alla multiamplificazione attiva sono:
mantenimento delle caratteristiche del filtro originale dei diffusori e
applicabilità pressochè universale.
Ma ora vediamo in dettaglio in cosa consiste
tale multiamplificazione attiva.
La multiamplificazione attiva
In questo tipo di collegamento si salta a piè pari il
filtro crossover dei diffusori e se ne utilizza uno elettronico esterno, da
installare a monte degli amplificatori. In questo modo ogni singolo
amplificatore amplifica solo una parte del segnale audio ed è perciò possibile
scegliere apparecchi diversi per le varie frequenze, ad esempio un finale
valvolare per la gamma alta ed uno a transistors ad alta potenza per la gamma
bassa, dove è richiesto il maggior quantitativo di corrente.
Chiariamo subito che per multiamplificare in
modo attivo è necessario che le casse siano predisposte allo scopo ovvero che
il loro crossover passivo interno si possa escludere completamente.
In sostanza gli altoparlanti si devono poter
collegare DIRETTAMENTE agli amplificatori senza alcun dispositivo intermedio
poichè l'ampli dedicato ad ogni altoparlante invia già la porzione di frequenze
più adatta: solo frequenze alte al tweeter e solo frequenze basse al woofer,
con notevole ottimizzazione del lavoro degli amplificatori.
Riassumendo i vantaggi della
multiamplificazione attiva sono:
- Lavoro ottimizzato degli amplificatori che sono chiamati a fornire potenza solo su una ristretta porzione dello spettro audio.
- Collegamento diretto ampli-altoparlante senza elementi passivi frapposti: niente condensatori, niente induttanze, niente resistenze. Un collegamento ideale.
- Grande (praticamente infinita) flessibilità operativa: si possono scegliere ampli adatti allo scopo e frequenze di taglio (e pendenze) più adatte agli altoparlanti ed all'ambiente d'ascolto.
Tali vantaggi si dimostrano però un'arma a doppio taglio, infatti gli svantaggi sono:
- Costi elevatissimi: oltre a quelli del biamping passivo dovete aggiungere quelli di un ulteriore cavo di segnale tra pre e crossover elettronico più il costo di quest'ultimo componente.
- Complessità operativa: è una soluzione estremamente complicata da mettere a punto e praticamente impossibile da attuare se non utilizzando un sistema monomarca già previsto per tale scopo cioè: diffusori già predisposti per la multiamplificazione attiva e crossover elettronico della stessa marca dedicato a quei diffusori (Linn fa ancora qualcosa del genere).
- L'esclusione del crossover del diffusore può comportare notevoli rischi: col crossover elettronico è praticamente impossibile mimare (tutto si può fare...ma è complicato) tutte le funzioni di un filtro passivo quando quest'ultimo non si limita a dividere la banda audio in varie porzioni di frequenze ma linearizza la risposta degli altoparlanti, ne controlla modulo e fase dell'impedenza etc.
La multiamplificazione attiva è, per queste ragioni,
abbastanza in disuso pur essendo, teoricamente, un'ottima soluzione seppur
complicata.
Il biamping passivo è una versione
semplificata e quasi a prova di errore ma economicamente ancora molto
impegnativa. Non è infatti da escludere che suoni meglio un singolo ampli di
qualità 100 piuttosto che due in biamping di valore 50. Non è un discorso diverso
da quello che si è fatto per il biwiring ed il monowiring.
Oppure non è affatto escluso che si possano
ottenere benefici superiori spendendo i milioni necessari per passare ad un
biamping (o ad una multiamplificazione attiva) in una coppia di diffusori di
livello più elevato.
Per questa ragione sia il biamping che la
multiamplificazione attiva hanno senso solo in impianti già di livello molto
alto. Inutile spendere milioni in finali e cavi quando si posseggono diffusori
da 2 milioni la coppia. Un salto di qualità molto più decisivo lo si avrebbe
upgradando i diffusori e lasciando inalterata l'amplificazione preesistente.
Fino a livelli di spesa dell'ordine dei
10-15 milioni per l'impianto completo ritengo sia meglio pensare all'acquisto
di componenti migliori (sorgente, casse o ampli) piuttosto che intraprendere
costose e potenzialmente deludenti strade di multiamplificazione, passiva o
attiva che sia.
Tenete anche conto che la semplicità,
nell'economia sonora di un impianto HiFi, paga sempre, sia in termini di
risultati all'ascolto che di semplice fruibilità del sistema preposto a
riprodurre la Musica.
Conclusioni
Dopo questo lungo excursus sui vari modi di collegare ampli e diffusori, spero vi siate fatti un'idea più chiara. Tenete anche conto che ogni regola ha le sue eccezioni e che ogni vostra scelta dovrà essere effettuata sulla base di numerose prove nel vostro impianto e non basandovi su ciò che vi consiglia l'amico esperto o la rivista di turno (questa inclusa, ovvio!).
Il mio parere credo di averlo espresso chiaramente: in HiFi è più conveniente puntare sulla semplicità e non sempre raddoppiare i componenti (cavi o amplificatori che siano) porta ad un "raddoppio" (ammesso che ciò abbia senso) della qualità sonora prodotta dall'impianto. Spesso a raddoppiare è solo la spesa.
Lucio Cadeddu - www.tnt-audio.com